
MAGGIO
2019
La Corte di Cassazione conferma i limiti cui deve sottostare l'Agenzia delle dogane nella rideterminazione del valore dichiarato all'atto dell'importazione
Con una recente sentenza, la Suprema Corte si è pronunciata in relazione ai casi nei quali l’Amministrazione doganale nutre fondati dubbi sul valore delle merci dichiarato dall’importatore, stabilendo che l’Agenzia delle dogane può utilizzare le proprie banche dati interne, ma solo se fornisce la prova di aver prima applicato i metodi secondari di valutazione. Con questa pronuncia viene quindi limitato l’utilizzo delle banche dati da parte dell’Ufficio nelle ipotesi di rideterminazione del valore dichiarato all’atto dell’importazione sulla base del valore di transazione di merci simili.
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Al riguardo, la Suprema Corte ha ribaditoespressamente che, nella rideterminazione del valore in dogana, l’Ufficio deve provare di aver rispettato la rigida sequenza dei metodi previsti dalla normativa europea.
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In particolare, i giudici di legittimità hanno statuito che “in materia, questa Corte, nella sentenza n. 23245 del 2018, ha chiarito che l’unico valore rilevante ai fini dell’obbligazione doganale è il valore in dogana, e il valore in dogana di norma coincide con il valore di transazione, ossia con il prezzo effettivamnete pagato o da pagare (Corte gisut., 12 dicembre 2013, C-116/12). (…) Nel caso di fondati dubbi da parte dell’Amministrazione doganale della corrispondenza tra il valore dichiarto e l’importo totale pagato o da pagare ex art. 29 c.d.c.[ora art. 70, c.d.u.], la medesima Amministrazione – dopo la richiesta di informazioni complementari e dopo aver fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali siano fondati tali dubbi, in ossequio della specifica garanzia procedurale di cui all’art. 181 bis, par. 2, d.a.c. – è tenuta a dimostrare, con onere probatorio a proprio carico, di aver applicato, nella rideterminazione del valore in dogana, i metodi immediatamente sussidiari di cui agli artt. 30 e 31 c.d.c. [ora art. 74 c.d.u.], secondo la rigida sequenza ivi prevista in successione ovvero è tenuta a dare conto delle ragioni per cui il rispetto del detto ordine previsto dal codice doganale comunitario non sia stato possibile” (Cass., 25 gennaio 2019, n. 2214).
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Proprio in applicazione di tale principio, la Commissione tributaria regionale di Genova ha respinto l’appello dell’Ufficio, in una fattispecie nella quale l’Agenzia delle dogane aveva disconosciuto il valore di transazione, rideterminando lo stesso ai sensi dell’art. 74, secondo comma, lett. b) c.d.u., senza rispettare l’ordine rigoroso previsto dalla norma.
In particolare, i giudici di appello hanno affermato che “Poiché l’importatore ha prodotto ampia documentazione a sostegno della propria dichiarazione (contratti di acquisto, ricevute bancarie di pagamento, copie fatture di acquisti similari acquistati in Italia, bolle di esportazione), la Dogana ben avrebbe potuto procedere ugualmente a rettificare il valore dichiarato, ma con onere della prova a proprio carico e solo applicando i metodi sussidiari nel rigido ordine previsto dall’art. 74 c.d.u. (…) Nel caso di specie, la Dogana ha disconosciuto il valore di transazione, ma poi, anziché applicare i metodi sussidiari di cui agli artt. 30 e 31 c.d.c. (ora 74 c.d.u.), secondo la rigida sequenza ivi prevista in successione, ha rideterminato il valore secondo l’art. 74, comma 2, lett. b) c.d.u., senza dare conto dei motivi per cui non è stato utilizzato il precedente criterio stabilito dalla lett. a) del medesimo marticolo” (Comm. trib. reg. Genova, 17 aprile 2019, n. 478).
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E invero, nel caso esaminato, l’Ufficio non aveva utilizzato il valore di transazione di merci identiche e non aveva illustrato, neppure in sede di appello, le motivazioni di tale scelta.
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Nel caso di specie, in particolare, come riconosciuto sia dai giudici di primo che di secondo grado, l’importatore, a seguito della richiesta della documentazione da parte della Dogana, aveva prodotto la documentazione idonea a confermare la correttezza del prezzo indicato in fattura: contratti di acquisto, ricevute bancarie di pagamento, copia fatture di tessuti similari acquistati in Italia, bolle di esportazione, nonché tutta la documentazione richiesta per l’importazione.