
FEBBRAIO
2021
I giudici meneghini si pronunciano ancora una volta sulle spese di rappresentanza
Con la recente sentenza 21 gennaio 2021, n. 301, la Commissione tributaria provinciale di Milano ha affermato che “le spese di rappresentanza descrivono tutti quegli esborsi economici derivanti dall’accoglienza di partner in affari o impiegati, in pratica per ospitalità si intende la somministrazione di cibo, bevande e generi di conforto vari, ma in senso più esteso possono essere considerate anche spese accessorie, come ad asempio mance o guardaroba, omaggi vari, buoni o beni distribuiti gratuitamente. Si considerano inerenti, semprechè effettivamente sostenute o documentate, le spese per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni, il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di settore. Nel caso di specie, le spese sostenute rientrano nella suddetta descrizione e inoltre un incremento di fatturato da parte del contribuente porterebbe vantaggio non solo allo stesso contribuente ma anche all’Erario in termini di maggiori imposte”.
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Come noto, la disciplina normativa relativa alle spese di rappresentanza nel reddito di impresa, prevista dall’art. 108, secondo comma, Tuir, rileva anche ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo, nell’ambito del quale le spese di rappresentanza sono deducibili nei limiti dell’1% dei compensi percepiti nel periodo d’imposta (art. 54, quinto comma, Tuir).
In particolare, l’art. 108, secondo comma, Tuir dispone che “le spese di rappresentanza sono deducibili nel periodo d’imposta se rispondenti ai requisiti di inerenza e congruità stabiliti con decreto del Ministro dell’economica delle finanze [d.m. 19 novembre 2008, n.d.r.] anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse, del volume di ricavi dell’attività caratteristica dell’impresa e dell’attività internazionale dell’impresa”.
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Il richiamato decreto, con riferimento al requisito dell’inerenza, quale presupposto per la deducibilità di un costo nei limiti di legge, individua i caratteri essenziali delle spese di rappresentanza, stabilendo che “si considerano inerenti, semprechè effettivamente sostenute e documentate, le spese per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di settore” (d.m. 19 novembre 2008, art. 1, primo comma).
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Secondo tale disposizione le spese di rappresentanza devono avere i caratteri della gratuità, della destinazione specifica e della ragionevolezza.
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Con la suddetta sentenza i giudici milanesi aderiscono ai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità che è consolidata nel definire le spese di rappresentanza come costi sostenuti per accrescere il prestigio e l’immagine della società e per potenziarne le possibilità di sviluppo, senza dar luogo a un’aspettativa di incremento delle vendite (ex pluribus, Cass., 18 settembre 2020, n. 19449; Cass., 1° ottobre 2019, n. 20731; Cass., 17 febbraio 2016, n. 3087; Cass., 27 maggio 2015, n. 10914).