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Giudice

MAGGIO

2020

La Cassazione dichiara illegittimo l'accertamento fondato sull'OLAF se la Dogana non prova la riferibili delle indagini alle merci contestate

Con la recente sentenza 29 aprile 2020, n. 8337, la Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di indagini Olaf e, condividendo un indirizzo già espresso in precedenza, ha affermato che in presenza di un’informativa dell’Olaf sussiste l’obbligo dell’Amministrazione di fornire puntuali riscontri circa le operazioni contestate e che, in mancanza di essi, l’accertamento svolto è illegittimo.

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In particolare, la Suprema Corte, rigettando il ricorso della Dogana, ha riconosciuto ai giudici di secondo grado di aver applicato correttamente i principi sull’onere probatorio, avendo fondato la decisione sulla carenza di prova in ordine alla riferibilità delle indagini compiute alla merce in contestazione e alla loro presunta origine cinese, anziché indonesiana.

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In altri termini, ad avviso della Suprema Corte, sul piano della ripartizione degli oneri probatori, la sentenza di secondo grado si è allineata al principio fissato dai giudici di Lussemburgo (Corte giust. 16 marzo 2017, C-47/16), secondo la quale qualora la relazione Olaf “contenga unicamente una descrizione generale della situazione di cui trattasi, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare, tale relazione non può essere di per sè sufficiente per dimostrare, in modo giuridicamente valido, che tali condizioni siano effettivamente soddisfatte in tutti gli aspetti, in particolare per quanto concerne il comportamento rilevante dell'esportatore; in tali circostanze, spetta, in linea di principio, alle autorità doganali dello stato di importazione fornire la prova, mediante elementi di prova supplementari, che il rilascio, da parte delle autorità doganali dello stato di esportazione, di un certificato di origine “modulo A” inesatto è imputabile alla presentazione inesatta dei fatti da parte dell'esportatore”.

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Nella fattispecie in esame, a parere della Suprema Corte, pertanto, il giudice nazionale ha compiuto, con valutazione non sindacabile in sede di legittimità, l’apprezzamento e l’analisi degli elementi sottoposti al suo giudizio, liberamente valutando l’inidoneità dell’inchiesta dell’Olaf e la mancanza di elementi supplementari che conferissero certezza della presunta provenienza delle merci dalla Cina anziché dall’Indonesia, come dichiarato all’atto dell’importazione.

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Tale pronuncia di leggittimità va a confermare quelle decisioni della Corte di Cassazione, che, seppur ancora isolate, pongono in discussione, in determinate fattispecie, il contenuto dei rapporti Olaf, senza attribuire agli stessi necessariamente forza di prova privilegiata in considerazione esclusivamente della loro provenienza (Cass., 21 marzo 2019, nn. 7993, 7994; Cass., 28 febbraio 2019, nn. 5931, 5932, 5933 e 5934).

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In particolare, in tali sentenze, la Suprema Corte aveva rilevato che, nel caso in esame, la Dogana non aveva chiarito se gli accertamenti/informazioni dell’Olaf fossero direttamente riferibili alle merci importate ovvero soltanto alle attività in generale della società esportatrice.

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I giudici di legittimità avevano concluso, affermando che, il giudice di secondo grado, liberamente valutando la prova rappresentata dalle informative Olaf e ritenendo prevalente la controprova costituita dai documenti prodotti dal contribuente, aveva correttamente applicato i principi in tema di valutazione delle prove e di inversione dell’onere probatorio, con giudizio di merito non sindacabile in sede di legittimità.

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