
NOVEMBRE
2020
La Suprema Corte interviene nuovamente sull'istituto della continuazione tra le sanzioni in materia doganale
Con la recente sentenza 21 settembre 2020, n. 19633, la Suprema Corte ha affermato che l’istituto della continuazione tra le sanzioni non si estenderebbe alle imposte doganali, sull’assunto che l’art. 12, quarto comma, d.lgs. 472 del 1997, “nel prevedere che, ai fini della maggiorazione, deve distinguersi tra tipologie di tributi, menziona esplicitamente, le imposte doganali. Questa indicazione, tuttavia, non è estesa alla continuazione che è regolata dal successivo comma, il quale, nel riferirsi esplicitamente a violazioni commesse in periodi di imposta diversi, delinea un presupposto estraneo alla materia doganale. Va infatti rilevato che nella disciplina doganale ogni operazione è autonoma, compiutamente liquidata e rileva di per sé, mentre è estraneo il riferimento al periodo di imposta. In altri termini, nella materia doganale l’imposta è d’atto. Ne deriva che l’istituto della continuazione ex art. 12, quinto comma, d.lgs. 472 del 1997, pur a fronte di violazioni della medesima indole, non si applica alle sanzioni doganali”.
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Come noto, con l’art. 12, primo comma, d.lgs. 472 del 1997, rubricato “concorso di violazioni e continuazione”, il legislatore ha previsto che, in luogo di applicarsi una singola sanzione per ogni violazione commessa dal contribuente, venga applicata un’unica sanzione pari a quella prevista per la violazione più grave aumentata da un quarto al doppio (cumulo giuridico).
La norma prevede, altresì, una “clausola di garanzia” (art. 12, settimo comma, d.lgs. 472 del 1997) secondo cui la sanzione inflitta determinata con la metodologia del cumulo giuridico non può essere superiore alla somma delle sanzioni corrispondenti alle singole violazioni (cumulo materiale).
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Oltre alla indicata maggiorazione, nei casi in cui le violazioni rilevano ai fini di più tributi, la sanzione base (quella corrispondente alla violazione più grave), cui commisurare l’aumento suindicata, sarà maggiorata di un quinto (art. 12, comma 3, d.lgs. 472 del 1997), ovvero, nel caso in cui violazioni della stessa indole siano commesse in periodi d’imposta differenti, essa sarà aumentata dalla metà al triplo (art. 12, comma 5, primo periodo, d.lgs. 472 del 1997).
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Nella sentenza citata, i giudici di legittimità affermano che la locuzione “periodi di imposta diversi”, per rendere operativo l’istituto della continuazione, si ricondurrebbe “al sistema di tassazione privilegiato dal legislatore – non solo per l’Iva e le imposte sui redditi, ma anche per le accise e per molti tributi degli enti locali – che è caratterizzato dalla riconduzione dell’accertamento in base a fatti fiscalmente rilevanti all’interno di un periodo di tempo definito”.
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Secondo la Cassazione “il periodo di tempo definito” costituisce un elemento costitutivo per l’applicazione del regime di favore, “assente e non mutuabile per le operazioni di importazione, le quali, invece, sono autonome e in sé compiutamente liquidate e, comunque, postulano, in punto di accertamento, condizioni e procedure distinte e separate rispetto alle altre tipologie di tributi”.
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La Corte, infine, ritiene che nella specifica materia del diritto doganale “non appaia ipotizzabile un equipollente alla diversità di periodo d’imposta, che, sicuramente, non è identificabile nel compimento delle singole operazioni, per le quali, d’altra parte, il cumulo giuridico può discendere direttamente dall’applicazione dei primi due commi dell’art. 12”.
Sulla base delle suddette argomentazioni la Suprema Corte ritiene che in tema di sanzioni doganali il compimento delle singole operazioni di importazione non sia identificabile con “un periodo d’imposta diverso”.
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Tale sentenza appare contraddittoria, giacchè, pur ritenendo non applicabile l’istituto della continuazione tra diverse violazioni in materia doganale, riconosce chiaramente l’applicazione del cumulo giuridico (art. 12, commi 1 e 2, d.lgs. 472 del 1997) senza tuttavia demandare al giudice di merito tale determinazione.